TRIMALCIONE IN BIBLIOTECA LE DROGHE DI MARSIGLIA L'AVVENTURA PSICHICA. CIÒ CHE DOBBIAMO A FACHINELLI
Per anni ho letto trattati e saggi di psicoanalisi come fossero romanzi, zibaldoni poetici, peripezie antropologiche e terapeutiche di nuovi intrigantissimi sciamani. Sono stato toccato nel vivo della fantasia, nell'ombelico dei sogni, nel cocuzzolo mitologico-filosofico. La letteratura psicoanalitica ha finito con l'occupare uno spazio cospicuo della mia biblioteca. A un certo punto della vita ho fatto una soddisfacente esperienza, né troppo breve né troppo lunga, del -confessionale» junghiano. Che tutto questo mi sia servito per conoscere un po' meglio me stesso e gli altri, a percepire la forza e le deformazioni degli impulsi, per congetturare la presenza di campi e confini invisibili, mi piacerebbe affermarlo ma ne dubito.
Per me il fascino principale dell'analisi risiede nel metodo e nell'idea che lo muove: che si possa riuscire a conoscere (o riconoscere) ciò che non sappiamo di sapere, ossia la nostra distorta ignoranza o sepolta sapienza. Infatti, c'è una cosa ovvia che troppo spesso viene dimenticata: gli «oggetti» di cui discorre la psicoanalisi sono tanto arcaici e lontani quanto i modi della nostra vita emozionale, affettiva e mentale. La psicoanalisi è un'arte maieutica, è un teatro alchemico e manierista, è «l'avventura psichica», come aveva intuito lo Zeno di Italo Svevo; e l'operatore, lo sciamano, la esercita a proprio rischio, modificandosi continuamente. Certo, esistono anche sciamani mediocri o cialtroni; ma questo è un altro problema.
Nel fascino esercitato dall'analisi c'è un fondamentale elemento critico. Io devo supporre che il nostro sciamano possieda i criteri della Ragione e della patologia psichica; e insieme con lui, grazie alla delicata e penetrante manovra di tali criteri, mi avventurerò nel mio sepolto e confuso sapere. È vero che per l'analisi non esiste la malattia, esiste il malato. Eppure, oggigiorno la relazione terapeutica (che dovrebbe configurarsi come una trasfusione di ritrovamenti e ideazioni dall'analista al paziente e viceversa) corre due pericoli perfino grotteschi. In sostanza, che sia l'analista sia il paziente si abbarbichino al già noto. L'uno per l'accumulo di conoscenze e interpretazioni trasmesse e collaudate. L'altro perché subisce la frammentazione temporale delle sedute e perché tende a incanalarsi nella prevedibilità delle cose da dire. Prevedibilità che non finisce mai, attirata dal miraggio di comunicare tutto...