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martedì 19 novembre 2013

[Il cuore zoppo] Alfredo Giuliani Vs Tommaso Lisa

Giuliani/Lisa

Tommaso Lisa | Note su «oggettivazione del simbolo» e «accrescimento vitale» | in Il cuore zoppo di Alfredo Giuliani*

Alfredo Giuliani (1924) è il più anziano dei poeti che si ritrovarono nell’antologia I Novissimi, da lui stesso curata nel 1961 nella “Biblioteca del Verri” diretta da Luciano Anceschi1; anche per questo la sua opera prima Il cuore zoppo2 pubblicata nel 1955 nella collana “Oggetto e simbolo” dell’Editore Magenta di Varese (la stessa della fortunata antologia, curata da Anceschi nel 1952, Linea Lombarda), resta coinvolta, secondo Luperini, «in un’esperienza postermetica di tipo simbolistico»3, esasperata iper-letterariamente secondo il principio anceschiano di rinnovamento delle istituzioni letterarie. In lui sono palesi i residui del linguaggio lirico, rielaborati sull’esempio delle poetiche americane e della poesia di Dylan Thomas (nel 1960 Giuliani traduce e cura l’edizione italiana di Sulla poesia e sui poeti di T.S. Eliot, mentre nel 1961 traduce le Poesie di Joyce4, esperienza dalla quale esce rafforzata la regolarità geometrico-meccanica del testo e la tendenza ad assecondare i fantasmi della visione). Gli stessi titoli5 sono modellati su sostantivi parodizzanti la tradizione “aulica” (con la quale, nota Antonio Schiavulli, Giuliani rimane sempre a stretto contatto)6, mentre i testi presentano un lessico analogico e un accumulo (non propriamente eterogeneo) di materiali verbali. In Resurrezione dopo la pioggia queste caratteristiche emergono distintamente, come pure nel seguente I giorni aggrappati alle città dove lo «scrimolo», assieme a un verso come «suo messaggio di lode o di resa», sono spie montaliane (anche se, come in Luciano Erba, la citazione serve per straniare il materiale lirico). Giuliani, seguendo l’esempio di Dylan Thomas, arricchisce la trama esistenziale con un inventario di folgorazioni, d’immagini vegetali, presenze animali, transizioni che connettono oggetti e esseri viventi. Come spiega nell’Introduzione, la riduzione dell’io dipende più dalla fantasia linguistica che dalla scelta ideologica: fedele a un accrescimento della vitalità, Giuliani esaspera i risvolti metafisici restando sospeso in un linguaggio volutamente sognante7. Secondo Giulio Ferroni Compleanno ricalca Poem in October di Thomas, associando, con tratti espressionistici, al flusso elencativo di immagini il trascorrere dei pensieri e delle situazioni oniriche, nello svolgersi di un viaggio sospeso sopra la realtà. Per comprendere il meccanismo retorico di straniamento tra sublime (parodiato e portato alle estreme conseguenze) e linguaggio espressionistico basta considerare la prima strofa: «Sgroviglia gli arruffati pensieri dei trent’anni / mentre imbruna il cielo tra meriggio e inverno, / filano le antenne verso il nord / e s’impolvera l’orecchio. / Angeli viola preludiano in torma ad ogni svolta. / Ecco l’omacchio disarmato / in mezzo al petto del campo; / ecco sul dorso dei colli, in figure di dolore, / ulivi aspri e forti / a due a due contorti in tenero colloquio». L’oggettività è resa attraverso le scelte lessicali, nella incipitaria voce verbale cacofonica e stridente come «sgroviglia», spingendo i vocaboli al limite della scala fonica, rendendo il correlativo oggettivo attraverso sostantivi originali («omacchio») e un’aggettivazione inusuale (i «pensieri arruffati»; più oltre gli occhi sono «affardellati»). Questa poetica intrisa di montalismo (nella terza strofa, «l’enigma del soffrire cigola in un pozzo») risponde a due distinti impulsi: da una parte soddisfa la poetica degli oggetti e la poesia in re teorizzata da Anceschi, dall’altra la poetica poundiana dell’imagismo, passata al vaglio dell’esperienza di Thomas8. Dall’imagismo Giuliani deriva una scrittura fondata sulla “fantasia semantica”, sul susseguirsi di immagini emotive, elaborate per costruire un “modo di contatto” col reale. Giuliani parla oggettualmente, producendo un “uso semantico degli oggetti”: in Quando vidi il salice (poi intitolata Convalescenza) la scrittura apre il confronto con la realtà tradizionalmente non poetica caricandola in modo bizzarro, affrontando ironicamente la crisi storica (a differenza della lamentazione critica, apocalittica, di Fortini e Pasolini, bersagli critici di Giuliani). Col tessuto di immagini surreali Giuliani risponde al modello ideologico del neorealismo forzando la figurazione per trovare un’autonoma rispondenza con la realtà. Elabora quindi uno stile “gestuale” che mette in atto una “biografia della coscienza” sorretta dall’integrazione tra simbolo e significato che fa diventare i pensieri sensibili, tenendo presente la lezione della lettura eliotiana di Dante e dei metafisici inglesi9. Frantumata l’integrità lirica del soggetto e del testo, Giuliani impone un metro che si confronta con la materialità del linguaggio, distendendosi, nella forma atonale, in una successione di accenti meccanici scanditi in moduli, catene di immagini popolate di oggetti. In Penuria e fervore si susseguono figure animalesche inquietanti; la fenomenologia del reale viene resa con mimesi linguistica delle strutture che da un lato restituisce il flusso di percezione e dall’altro attua un uso sinestetico delle sensazioni, con aggettivi preziosi cozzanti in modo dissonante con situazioni ferine10. La costante stilistica è l’eccedenza del complemento (aggettivo o di predicato verbale) sul sostantivo, con un tratto manieristico di esasperazione parodica, mentre il correlativo oggettivo viene deformato dall’accumulo di altri oggetti, in elenchi generati dal flusso dell’inconscio linguistico. Poiché la poesia non “rappresenta” il reale, il testo cerca delle «corrispondenze omologiche» (per usare la definizione di Renato Barilli) con la realtà che lo circonda, attraverso la disseminazione dei correlativi. In questa maniera Giuliani coglie in re, all’interno del linguaggio, il panorama urbano e le situazioni contemporanee, senza ricorrere a vie figurativamente mimetiche11. Rompendo la continuità della tradizione letteraria con l’esasperazione e la parodia dei modelli, Giuliani teorizza un’espressione che agisce, coerentemente alla poetica in re, nelle cose e nel contesto, traendo dai tempi le proprie qualità. Si tratta di una poetica costruita a contrario che entra in polemica con lo psicologismo e l’intimismo della lirica petrarchista, cui viene contrapposta la poesia oggettiva di ascendenza dantesca, aperta alla realtà. Per far fronte all’isolamento nella sfera del soggettivismo, dell’auscultazione crepuscolare dei moti dell’anima, la poetica di Giuliani propone una “iniezione di oggettività” e una riduzione dell’io che spinga la scrittura a misurarsi con la condizione materiale del linguaggio. È il caso delle tre sezioni Predilezioni (strutturalmente affini al Balestrini di Corpi in moto e corpi in equilibrio I) scritte tra il 1955 e il 1958, costituite di strofe di quattro versi ritmati e musicali, gremiti di immagini oscure, intrecciate in un perpetuo mutare e dissolvere: «Non c’è rimedio al disordine d’aprile, / scossa di paradiso dei cieli che spurgano / e rovesciano l’inverno nei fossi, dei venti / che s’irradiano asciutti di colpo». Nella forma, disposizione tecnica del materiale verbale sulla pagina, si ricompongono i tasselli di Eliot (per cui “aprile” diventa “disordinato” piuttosto che “crudele”), passando al vaglio dell’ironia la carica di “pensiero sensibile” di Thomas. La stessa forma è usata per criticare il soggettivismo spiritualista, per far fronte al dominio tautologico del soggetto della poesia post-ermetica. La “tensione oggettuale”, che porta alla comprensione della situazione, e il problema “semantico” dell’oggetto sono rintracciati in Montale, ed espressi nella recensione a La Bufera sul primo numero de “il verri”:





Alla sfiducia di Montale nel linguaggio e al suo modo di sapere e di dire ciò che non ha nome noi dobbiamo l’incantesimo di certe parole e a cifra insoluta di certe altre. Dobbiamo a questa poetica l’uso semantico degli “oggetti” [...]. Oltrepassata la confessione crepuscolare e il guardingo espressionismo sentimentale di derivazione pascoliana, ecco l’oggetto-metafora divenire il segno espressivo di cui le parole tentano il disegno, ecco la sintassi suggerita dal ritmo logico che lavora d’incastro tra gli oggetti e le parole cercando così lo scatto del respiro. Il poeta è padrone delle parole ma non degli oggetti, ha uno schietto gusto narrativo analitico ma una fantasia da metafisico simbolista. Così l’identità degli oggetti, l’evocazione e il discorso gnomico s’intrecciano nella memoria fino a comporre le momentanee verità del fantasma. Infine sono loro, gli oggetti, che parlano per lui.12


Il nesso fra soggetto e oggetto è equivalente al rapporto tra parole e cose, dove le cose penetrano nella struttura linguistica, diventandone corposo contenuto13. Il problema dell’uso “sematico” degli oggetti sposta il rapporto verso l’analisi materiale14, in quanto tale rapporto non si basa più sull’incontro tra forma linguistica e oggetto rappresentato (tra coscienza soggettiva e realtà oggettiva) ma sull’istituzionalizzata relazione tra forma e coscienza. Nell’elaborare questa posizione, Giuliani pone l’accento sulle relazioni tra soggetto e oggetto all’interno del vissuto, tendendo tuttavia a privare la poesia della valenza conoscitiva, focalizzandosi su un irrazionale “accrescimento di vitalità”:


Se vivere è già “rappresentare”, ossia scrivere, incidere biologicamente segni memoriali, fare poesia è un forzare la vita a riscriversi, a scompigliare e rimontare segni memoriali in nessi inediti, spingerla a liberarsi dai feticismi della rappresentazione in visioni che “traversano”, senza sostare e “formarsi” né nell’uno né nell’altro, il linguaggio della vita e quello dell’arte.15


L’accrescimento di vitalità viene usato per risolvere il rapporto fra arte e vita con un attraversamento dinamico, lasciato in epoché il giudizio. A differenza di Eliot, il quale individuava nella poesia una “fuga dall’emozione”, Giuliani afferma: «Ovviamente, l’inclinazione a far parlare i pensieri e gli oggetti dell’esperienza è un atto individuale, di me che scrivo e che non voglio affatto nascondere la mia soggettività»16 (evidenziando quel “qualcosa” di «mirabilmente truccato in tutta l’opera di Eliot»). La poetica di Eliot viene infatti “ribaltata” da Giuliani, il quale vede l’oggettualità e l’impersonalità solo come mezzi per ridare vita al soggetto alienato; di Eliot evidenzia l’immagine «brillantemente funeraria, pluriculturale, tortuosamente allegorica della crisi»17, il carattere artificioso del correlativo oggettivo18. Rifiutando il concettismo, la fenomenologia dello sguardo di Giuliani s’innesta sulla poetica dell’immagine di Thomas, portando in primo piano l’oggetto come non-esistente, in modo affine alla problematica filosofica elaborata da Sartre ne L’immaginaire19. Tale rilettura del correlativo oggettivo eliotiano svuota l’oggetto della tensione metafisica, ma al contempo lo annienta, riproponendo una prospettiva in cui la parola, più dell’oggetto, riscatta il soggetto dall’alienazione. Giuliani, soprattutto nei testi precedenti il 1956, esaspera il valore della parola, mostrando quanto sia forte in lui il legame con una poetica, fedelmente all’estetica di Anceschi, inseparabile dal ruolo dell’individuo, modo in cui il suo esistenzialismo testimonia il senso angoscioso di smarrimento del soggetto. Così il distacco dall’oggettività di Eliot dà peso al soggetto: Giuliani afferma che «la poesia deve consegnarsi nuda al linguaggio, non rivestirsi dell’ideologia; e, quali che siano i suoi interessi politici o sociologici, il poeta deve anzitutto studiare gli influssi, i segni, le ferite che quel linguaggio fa su di lui»20, conformemente all’impostazione fenomenologica, al suo momento relativizzante21.
La poetica dell’oggetto si trova così, paradossalmente, incorporata dalla metafora22; se l’oggetto non è più correlativo di un mondo, finisce per accrescersi visivamente in un gioco di allucinazioni che accalcano spunti “visivi”. Col poundiano «trattamento diretto della cosa»23, ridotta a scheletro semantico, Giuliani assorbe l’oggetto ricollocandone l’immagine all’interno della lingua. Questa caratteristica s’intensifica nei testi successivi alla metà degli anni Cinquanta, nel periodo che precede la svolta teatrale, come in Azzurro pari venerdì. In uno stile costruito sull’ipertrofia e l’esasperazione parodica di motivi lirici, dove lo sguardo del poeta entra nel contesto oggettivo dell’immagine, Giuliani risolve l’oggettività nella presenza dell’io. Il linguaggio della fenomenologia diventa vissuto esperienziale del soggetto stesso:


La “riduzione dell’io” è la mia ultima possibilità storica di esprimermi soggettivamente [...]. Ora, però, dalla parte dell’oggetto, che è ancora penetrabile e pronunciabile senza falsità, si svolge una poesia che, secondo la “qualità dei tempi”, cerca l’unità di visione e quindi il recupero di quel medesimo io prima ridotto metodicamente.24


La poetica si fonda sugli aspetti esistenziali, evidenziando proprio i momenti lirici: l’uso ipertrofico dell’aggettivazione quale espressione del giudizio elenca immagini amplificate e iperboliche, facendo ricorso a nuclei simbolico-concettuali che forzano l’analitica misura della poetica dell’oggetto. Nelle poesie de Il cuore zoppo gli elementi lirici prevalgono nell’avvicendarsi delle coppie polari corpo-anima, tu-altro, vita-morte, calate nel clima di angoscia esistenziale:


L’ammirazione dello spirito della vita è una conversazione con l’inclusivo spirito della morte che pervade il mondo moderno, questo mondo privo di qualsiasi ritualità significante e nelle cui strutture la morte è puntualmente espunta o avvertita quale fastidiosa interruzione del processo di produzione.25


Giustamente, secondo Roberto Esposito, «l’oggetto è tale solo per il soggetto e in relazione al soggetto, è il soggetto stesso che si riconosce e si fonda come coscienza intenzionale»26. Eliotiano, più che l’influsso del correlativo oggettivo, risulta quindi il rapporto di mediazione tra i rapporti umani (così come dalla traduzione di Sulla poesia e sui poeti27) poiché ciò che importa è la relazione che lega il soggetto al tempo, che unisce la poesia al contesto attraverso una operazione tecnica28. In sintonia con la poetica elaborata su “Il Verri”, l’accento posto sul momento formale della scrittura serve per rivelare la natura di materiale, legata al contesto che la determina, del testo:


Per dirlo in una maniera molto sintetica penso che la letteratura d’avanguardia sia caratterizzata dall’esibire la propria struttura arbitraria e maniaca quale forma eternonoma rispetto alla percezione del mondo, alla concezione del mondo: mostrando immediatamente i tralicci e sapendo di essere letteratura, essa rimanda all’apparenza reale in una maniera diversa dalla letteratura comune, che è un tipo di letteratura mimetico, o esplicativo, o semplicemente razionale nel senso illuministico o naturalistico della parola.29

Il vitalismo, che minaccia di ribaltare dialetticamente in “nientificazione” la poetica dell’oggetto, nella dialettica relazione tra vita e morte fa emergere una tensione colta come atto “simbolico” in opposizione alla “visività” oggettiva30:


Una poesia è vitale quando ci spinge oltre i propri inevitabili limiti, quando cioè le cose che hanno ispirato le sue parole (si tratti anche di quelle povere e inquiete “cose” che sono le parole stesse) ci inducono il senso di altre cose e di altre parole, provocando il nostro intervento.31


L’espansione vitalistica dell’io porta, tra spunti immaginativi e visionari, a un rapporto soggettivo con l’oggettivazione del reale. L’io lirico s’infrange tragicamente sul muro dell’incomunicabilità, della crisi (motivo il poeta si traveste e s’identifica nelle figure del “folle”, del “vecchio” e dell’adolescente). Il vuoto dell’immagine porta a un realismo stravolto (dato che «il mondo della percezione non è più realistico»32), deformato da allucinazioni psichiche (dallo scontro irrazionale con l’animalità emblematica delle frequenti immagini del “cane” e del “cavallo”). Il soggetto non cerca l’impersonalità, ma un nuovo contenutismo che lo esprima senza schemi e preconcetti33: seguendo questa poetica, in un intervento del ’63 su “il verri”, Allegoria e utopia dell’avanguardia, Giuliani definisce la propria scrittura come un “realismo non mistificato”, posto a «contatto con un sentire diretto»34, mettendo in mostra un personaggio onnivoro che coglie l’oggetto quale mezzo di accrescimento del sé, in maniera immaginativa, per combattere l’alienazione, inducendolo a una liberazione nel bulimico accrescimento di personali impressioni eterogenee.
La critica militante di Giuliani esprime la sua particolare poetica dell’oggetto soprattutto in virtù dell’energia contestativa con cui il critico tende a segnare il decisivo scarto, l’evoluzione del modello di poesia con la costituzione di una koiné novissima35. Tra i materiali culturali Giuliani privilegia, di volta in volta, quelli che reputa necessari all’evoluzione del progetto poetico di aderenza ai tempi. Come nelle poesie apparse nel 1957 su “il verri”36, ricerca un rapporto praticabile con la realtà, in linea con l’applicazione di una eliotiana “poesia sensibile”37, sperimentando «il grado di energia di un pensiero gestuale che sappia materializzare le immagini, aderire ai gesti in modo emozionale, sperimentando un pensiero visibile come cosa, incline a una divagazione onirica permeata di concretezza linguistica38. Giuliani sperimenta l’energia di un pensiero gestuale che aggredisca i residui lirici del Cuore zoppo con un fitto argomentare tra reale e figurato, scarti lessicali e variazioni foniche. L’attenzione alla metrica crea un campo di tensioni nella mescolanza di grottesco e apatia, sintassi seriale e quotidiana nevrosi, sul filo dell’assurdo, ereditato da Jarry e dalla patafisica39. Rispetto a Il cuore zoppo nei testi che chiudono l’antologia aumenta il controllo razionale della parola: intorno al 1960, a partire da componimenti come Azzurro pari venerdì, abbandona la ricerca surreale e imagista dei “pensieri visibili come cose” iniziando una poetica del “collage”, dell’assemblaggio di parole tratte da frammenti della lingua quotidiana, della pubblicità, dei giornali, avvicinandosi alla poetica di Balestrini (come nel caso di Prosa, a lui dedicata). Con questo brano narrativo, composto di versi lunghi, atonali, in cui s’intassellano frammenti del reale senza distinzione grafica, in un unico flusso di percezione (fra istruzioni per l’uso in lingua francese, scritte tratte da insegne, lacerti di conversazioni, frasi fatte, flusso di coscienza e lessico tecnicistico) Giuliani matura la ricerca di una propria poesia oggettiva in cui l’io viene fagocitato nel disordine permanente del linguaggio40. Nei testi l’unico ordine che resta è quello ritmico, mentre la tecnica si configura sempre più come quella della forma mobile, senza conclusione, già iniziata nell’accalcarsi di immagini testi del Cuore zoppo41. Il materiale verbale rivela la propria oggettualità fino ai casi di Povera Juliet e altre poesie (1965) e Il tautofono (1969), nei quali la tendenza alla reificazione della parola giunge alla proposta di una “poesia gestuale”, creata appositamente per il teatro42. Con lo sviluppo delle poetiche gestuali e del collage Giuliani risponde alla duplice esigenza espressiva: da una parte tenta di “catturare” le cose dentro la poesia (con l’assemblaggio di spezzoni dotati di aderenza al quotidiano, in modo da colmare quella distanza che era apparsa incolmabile tra gli oggetti-simbolo e le cose), dall’altra rivitalizza la lingua consumata inserendola in contesti desueti, con accostamenti stranianti di elementi prosastici e ritagli letterariamente preziosi. A questo periodo risalgono i collages visivi effettuati assieme a Toti Scialoja, Novelli e Nonnis, cui però Giuliani aggiunge un’elaborazione personale che non espone il materiale linguistico nella sua nudità: il ritaglio viene suturato da un intervento posteriore di pensiero, da ricuciture (Curi parla di “collagismo dialogico”) come in Azzurro pari venerdì, Prosa, I mimi mescolati. I lunghi, a-gerarchici elenchi di parole non espongono solo l’oggettività del linguaggio, o la materialità del medesimo, ma rispondono anche, in continuità con le prime prove, a un’esigenza esistenziale di accrescimento di vitalità, evidenziata appunto dalla gioia di mischiare e rovesciare pezzi altrimenti slegati. I cinque componimenti raccolti sotto il titolo Il professor PI ossia il fenomeno non è un fatto (1962) si servono di impasti attinti soprattutto al repertorio del linguaggio fenomenologico, producendo «accostamenti tra i termini della discussione filosofica (l’“intenzione”, la “presenza”, la “penetrazione”, ecc.) e la ricerca del contatto sessuale»43. Col collage la poesia di Giuliani si fa più “bislacca”, parafrasando il lessico stesso di Giuliani, distaccandosi dal precedente periodo basato sull’uso del “simbolo oggettivo”; con Povera Juliet (1963) e Urotropio tende infatti ad azzerare la distanza tra linguaggio e realtà attraverso la soluzione performativa del gesto.
La reificazione del soggetto si risolve in un rifiuto della rappresentazione, della mimesi naturalistica, che resta chiusa nel tragico vitalismo del soggetto. La mimesi critico-esistenziale del rapporto antagonistico della parola con la realtà riduce la parola a segno fono-linguistico che rimanda specularmente se stessa, la sua concreta oggettività (fino al caso di Tautofono, con riferimento all’apparecchio usato in ambito di accertamenti psichiatrici)44. Insistendo sull’elemento oggettuale, accumulando a freddo45 sempre più scorie aggettivali in concrezioni assurde, nel periodo 1963-’64 Giuliani, con Nuove predilezioni, interviene direttamente sulle parole coniando formazioni “neoplastiche”, tumori verbali che, dopo aver portato a un grado estremo di dissoluzione le strutture comunicative, tornano a riedificare “cartigli” recanti frasi dotate di senso compiuto, micro-sezioni narrative in continuo reciproco conflitto.

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