Il nesso fra soggetto e
oggetto è equivalente al rapporto tra parole e cose, dove le cose
penetrano nella struttura linguistica, diventandone corposo
contenuto
13.
Il problema dell’uso “sematico” degli oggetti sposta il
rapporto verso l’analisi materiale
14,
in quanto tale rapporto non si basa più sull’incontro tra forma
linguistica e oggetto rappresentato (tra coscienza soggettiva e
realtà oggettiva) ma sull’istituzionalizzata relazione tra forma e
coscienza. Nell’elaborare questa posizione, Giuliani pone l’accento
sulle relazioni tra soggetto e oggetto all’interno del vissuto,
tendendo tuttavia a privare la poesia della valenza conoscitiva,
focalizzandosi su un irrazionale “accrescimento di vitalità”:
Se vivere è già “rappresentare”, ossia scrivere, incidere
biologicamente segni memoriali, fare poesia è un forzare la vita a
riscriversi, a scompigliare e rimontare segni memoriali in nessi
inediti, spingerla a liberarsi dai feticismi della rappresentazione
in visioni che “traversano”, senza sostare e “formarsi” né
nell’uno né nell’altro, il linguaggio della vita e quello
dell’arte.
15
L’accrescimento di
vitalità viene usato per risolvere il rapporto fra arte e vita con
un attraversamento dinamico, lasciato in
epoché
il giudizio. A differenza di Eliot, il quale individuava nella poesia
una “fuga dall’emozione”, Giuliani afferma: «Ovviamente,
l’inclinazione a far parlare i pensieri e gli oggetti
dell’esperienza è un atto individuale, di me che scrivo e che non
voglio affatto nascondere la mia soggettività»
16
(evidenziando quel “qualcosa” di «mirabilmente truccato in tutta
l’opera di Eliot»). La poetica di Eliot viene infatti “ribaltata”
da Giuliani, il quale vede l’oggettualità e l’impersonalità
solo come mezzi per ridare vita al soggetto alienato; di Eliot
evidenzia l’immagine «brillantemente funeraria, pluriculturale,
tortuosamente allegorica della crisi»
17,
il carattere artificioso del correlativo oggettivo
18.
Rifiutando il concettismo, la fenomenologia dello sguardo di Giuliani
s’innesta sulla poetica dell’immagine di Thomas, portando in
primo piano l’oggetto come
non-esistente,
in modo affine alla problematica filosofica elaborata da Sartre ne
L’immaginaire19.
Tale rilettura del correlativo oggettivo eliotiano svuota l’oggetto
della tensione metafisica, ma al contempo lo annienta, riproponendo
una prospettiva in cui la parola, più dell’oggetto, riscatta il
soggetto dall’alienazione. Giuliani, soprattutto nei testi
precedenti il 1956, esaspera il valore della parola, mostrando quanto
sia forte in lui il legame con una poetica, fedelmente all’estetica
di Anceschi, inseparabile dal ruolo dell’individuo, modo in cui il
suo esistenzialismo testimonia il senso angoscioso di smarrimento del
soggetto. Così il distacco dall’oggettività di Eliot dà peso al
soggetto: Giuliani afferma che «la poesia deve consegnarsi nuda al
linguaggio, non rivestirsi dell’ideologia; e, quali che siano i
suoi interessi politici o sociologici, il poeta deve anzitutto
studiare gli influssi, i segni, le ferite che quel linguaggio fa su
di lui»
20,
conformemente all’impostazione fenomenologica, al suo momento
relativizzante
21.
La poetica dell’oggetto
si trova così, paradossalmente, incorporata dalla metafora
22;
se l’oggetto non è più correlativo di un mondo, finisce per
accrescersi visivamente in un gioco di allucinazioni che accalcano
spunti “visivi”. Col poundiano «trattamento diretto della
cosa»
23,
ridotta a scheletro semantico, Giuliani assorbe l’oggetto
ricollocandone l’immagine all’interno della lingua. Questa
caratteristica s’intensifica nei testi successivi alla metà degli
anni Cinquanta, nel periodo che precede la svolta teatrale, come in
Azzurro pari venerdì.
In uno stile costruito sull’ipertrofia e l’esasperazione parodica
di motivi lirici, dove lo sguardo del poeta entra nel contesto
oggettivo dell’immagine, Giuliani risolve l’oggettività nella
presenza dell’io. Il linguaggio della fenomenologia diventa vissuto
esperienziale del soggetto stesso:
La “riduzione dell’io” è la mia ultima possibilità storica di
esprimermi soggettivamente [...]. Ora, però, dalla parte
dell’oggetto, che è ancora penetrabile e pronunciabile senza
falsità, si svolge una poesia che, secondo la “qualità dei
tempi”, cerca l’unità di visione e quindi il recupero di quel
medesimo io prima ridotto metodicamente.
24
La poetica si fonda
sugli aspetti esistenziali, evidenziando proprio i momenti lirici:
l’uso ipertrofico dell’aggettivazione quale espressione del
giudizio elenca immagini amplificate e iperboliche, facendo ricorso a
nuclei simbolico-concettuali che forzano l’analitica misura della
poetica dell’oggetto. Nelle poesie de Il
cuore zoppo gli elementi lirici prevalgono
nell’avvicendarsi delle coppie polari corpo-anima, tu-altro,
vita-morte, calate nel clima di angoscia esistenziale:
L’ammirazione dello spirito della vita è una conversazione con
l’inclusivo spirito della morte che pervade il mondo moderno,
questo mondo privo di qualsiasi ritualità significante e nelle cui
strutture la morte è puntualmente espunta o avvertita quale
fastidiosa interruzione del processo di produzione.
25
Giustamente, secondo
Roberto Esposito, «l’oggetto è tale solo per il soggetto e in
relazione al soggetto, è il soggetto stesso che si riconosce e si
fonda come coscienza intenzionale»
26.
Eliotiano, più che l’influsso del correlativo oggettivo, risulta
quindi il rapporto di mediazione tra i rapporti umani (così come
dalla traduzione di
Sulla poesia e sui
poeti27)
poiché ciò che importa è la relazione che lega il soggetto al
tempo, che unisce la poesia al contesto attraverso una operazione
tecnica
28.
In sintonia con la poetica elaborata su “Il Verri”, l’accento
posto sul momento formale della scrittura serve per rivelare la
natura di materiale, legata al contesto che la determina, del testo:
Per dirlo in una maniera molto sintetica penso che la letteratura
d’avanguardia sia caratterizzata dall’esibire la propria
struttura arbitraria e maniaca quale forma eternonoma rispetto alla
percezione del mondo, alla concezione del mondo: mostrando
immediatamente i tralicci e sapendo di essere letteratura, essa
rimanda all’apparenza reale in una maniera diversa dalla
letteratura comune, che è un tipo di letteratura mimetico, o
esplicativo, o semplicemente razionale nel senso illuministico o
naturalistico della parola.
29
Il vitalismo, che
minaccia di ribaltare dialetticamente in “nientificazione” la
poetica dell’oggetto, nella dialettica relazione tra vita e morte
fa emergere una tensione colta come atto “simbolico” in
opposizione alla “visività” oggettiva
30:
Una poesia è vitale quando ci spinge oltre i propri inevitabili
limiti, quando cioè le cose che hanno ispirato le sue parole (si
tratti anche di quelle povere e inquiete “cose” che sono le
parole stesse)
ci inducono il senso di altre cose e di altre
parole, provocando il nostro intervento.
31
L’espansione
vitalistica dell’io porta, tra spunti immaginativi e visionari, a
un rapporto soggettivo con l’oggettivazione del reale. L’io
lirico s’infrange tragicamente sul muro dell’incomunicabilità,
della crisi (motivo il poeta si traveste e s’identifica nelle
figure del “folle”, del “vecchio” e dell’adolescente). Il
vuoto dell’immagine porta a un realismo stravolto (dato che «il
mondo della percezione non è più realistico»
32),
deformato da allucinazioni psichiche (dallo scontro irrazionale con
l’animalità emblematica delle frequenti immagini del “cane” e
del “cavallo”). Il soggetto non cerca l’impersonalità, ma un
nuovo contenutismo che lo esprima senza schemi e preconcetti
33:
seguendo questa poetica, in un intervento del ’63 su “il verri”,
Allegoria e utopia dell’avanguardia,
Giuliani definisce la propria scrittura come un “realismo non
mistificato”, posto a «contatto con un sentire diretto»
34,
mettendo in mostra un personaggio onnivoro che coglie l’oggetto
quale mezzo di accrescimento del sé, in maniera immaginativa, per
combattere l’alienazione, inducendolo a una liberazione nel
bulimico accrescimento di personali impressioni eterogenee.
La critica militante di
Giuliani esprime la sua particolare poetica dell’oggetto
soprattutto in virtù dell’energia contestativa con cui il critico
tende a segnare il decisivo scarto, l’evoluzione del modello di
poesia con la costituzione di una koiné
novissima35.
Tra i materiali culturali Giuliani privilegia, di volta in volta,
quelli che reputa necessari all’evoluzione del progetto poetico di
aderenza ai tempi. Come nelle poesie apparse nel 1957 su “il
verri”
36,
ricerca un rapporto praticabile con la realtà, in linea con
l’applicazione di una eliotiana “poesia sensibile”
37,
sperimentando «il grado di energia di un pensiero gestuale che
sappia materializzare le immagini, aderire ai gesti in modo
emozionale, sperimentando un pensiero visibile come cosa, incline a
una divagazione onirica permeata di concretezza linguistica
38.
Giuliani sperimenta l’energia di un pensiero gestuale che
aggredisca i residui lirici del
Cuore zoppo
con un fitto argomentare tra reale e
figurato, scarti lessicali e variazioni foniche. L’attenzione alla
metrica crea un campo di tensioni nella mescolanza di grottesco e
apatia, sintassi seriale e quotidiana nevrosi, sul filo dell’assurdo,
ereditato da Jarry e dalla patafisica
39.
Rispetto a
Il cuore zoppo
nei testi che chiudono l’antologia aumenta il controllo razionale
della parola: intorno al 1960, a partire da componimenti come
Azzurro
pari venerdì, abbandona la ricerca surreale
e imagista dei “pensieri visibili come cose” iniziando una
poetica del “collage”, dell’assemblaggio di parole tratte da
frammenti della lingua quotidiana, della pubblicità, dei giornali,
avvicinandosi alla poetica di Balestrini (come nel caso di
Prosa,
a lui dedicata). Con questo brano narrativo, composto di versi
lunghi, atonali, in cui s’intassellano frammenti del reale senza
distinzione grafica, in un unico flusso di percezione (fra istruzioni
per l’uso in lingua francese, scritte tratte da insegne, lacerti di
conversazioni, frasi fatte, flusso di coscienza e lessico
tecnicistico) Giuliani matura la ricerca di una propria poesia
oggettiva in cui l’io viene fagocitato nel disordine permanente del
linguaggio
40.
Nei testi l’unico ordine che resta è quello ritmico, mentre la
tecnica si configura sempre più come quella della forma mobile,
senza conclusione, già iniziata nell’accalcarsi di immagini testi
del
Cuore zoppo41.
Il materiale verbale rivela la propria oggettualità fino ai casi di
Povera Juliet e altre poesie (1965)
e
Il tautofono (1969),
nei quali la tendenza alla reificazione della parola giunge alla
proposta di una “poesia gestuale”, creata appositamente per il
teatro
42.
Con lo sviluppo delle poetiche gestuali e del collage Giuliani
risponde alla duplice esigenza espressiva: da una parte tenta di
“catturare” le cose dentro la poesia (con l’assemblaggio di
spezzoni dotati di aderenza al quotidiano, in modo da colmare quella
distanza che era apparsa incolmabile tra gli oggetti-simbolo e le
cose), dall’altra rivitalizza la lingua consumata inserendola in
contesti desueti, con accostamenti stranianti di elementi prosastici
e ritagli letterariamente preziosi. A questo periodo risalgono i
collages visivi effettuati assieme a Toti Scialoja, Novelli e Nonnis,
cui però Giuliani aggiunge un’elaborazione personale che non
espone il materiale linguistico nella sua nudità: il ritaglio viene
suturato da un intervento posteriore di pensiero, da ricuciture (Curi
parla di “collagismo dialogico”) come in
Azzurro
pari venerdì,
Prosa,
I mimi mescolati. I
lunghi, a-gerarchici elenchi di parole non espongono solo
l’oggettività del linguaggio, o la materialità del medesimo, ma
rispondono anche, in continuità con le prime prove, a un’esigenza
esistenziale di accrescimento di vitalità, evidenziata appunto dalla
gioia di mischiare e rovesciare pezzi altrimenti slegati. I cinque
componimenti raccolti sotto il titolo
Il
professor PI ossia il fenomeno non è un fatto
(1962) si servono di impasti attinti soprattutto al repertorio del
linguaggio fenomenologico, producendo «accostamenti tra i termini
della discussione filosofica (l’“intenzione”, la “presenza”,
la “penetrazione”, ecc.) e la ricerca del contatto sessuale»
43.
Col collage la poesia di Giuliani si fa più “bislacca”,
parafrasando il lessico stesso di Giuliani, distaccandosi dal
precedente periodo basato sull’uso del “simbolo oggettivo”; con
Povera Juliet (1963) e
Urotropio tende
infatti ad azzerare la distanza tra linguaggio e realtà attraverso
la soluzione performativa del gesto.
La reificazione del
soggetto si risolve in un rifiuto della rappresentazione, della
mimesi naturalistica, che resta chiusa nel tragico vitalismo del
soggetto. La mimesi critico-esistenziale del rapporto antagonistico
della parola con la realtà riduce la parola a segno fono-linguistico
che rimanda specularmente se stessa, la sua concreta oggettività
(fino al caso di
Tautofono,
con riferimento all’apparecchio usato in ambito di accertamenti
psichiatrici)
44.
Insistendo sull’elemento oggettuale, accumulando a freddo
45
sempre più scorie aggettivali in concrezioni assurde, nel periodo
1963-’64 Giuliani, con
Nuove predilezioni,
interviene direttamente sulle parole coniando formazioni
“neoplastiche”, tumori verbali che, dopo aver portato a un grado
estremo di dissoluzione le strutture comunicative, tornano a
riedificare “cartigli” recanti frasi dotate di senso compiuto,
micro-sezioni narrative in continuo reciproco conflitto.
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